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| Tivadar C. Kosztka, Cedro solitario, 1907 |
L'ultima volta dei cedri
sui nostri sorrisi
fu lieve.
Rimpianta all'imbarco
e poi quando Eilat
si confuse al mio nuovo orizzonte boero.
Cabotai graffi di costa d'oceano
risalendo la sete di guerra
fino al cuore d'Europa.
Finché le vocali del vento a Gibilterra
annunciarono nord.
Invocai Abramo rocca di Hebron
quando il pastrano
indagò con fare nazista
chi fossi.
Il mio lasciapassare
dal nome artefatto
non indusse al sospetto.
Parigi cornucopia di mondi
bell'époque ancora perfetta
ma preda di svastiche
e albergo a ore di stivali padroni.
Mi chiese, la ronda, chi fossi
e io volli tradire un accento carinzio.
Sorrisi del mio austriacare
delle parole farsi legione
sfera cordiale
compagnia di giro
di rumori qualsiasi.
Si chiamava salvarsi.
Per tornare da te
e alle tue lunghe gambe
Ruth.
Così tremule ai miei versi
che nell'aprir bocca
si perdevano dentro.
Come si fa àncora l'amore
col suo laccio sigillo.
Si chiama salvarsi.
Dalla temperie degli anni
e dalla follia tornare
all'amore.
Perché ce ne sarà
pure uno
spirato che sia l'ultimo fumo
di tutta la mia pelle
giudaica.
Ma
Adir Hu!
E' lui l'Onnipossente
mi ripetei
mentre leggevo il volo
del foglio clandestino che mi cadde.
Altri pastrani
alti
piombarono latrando
e poi soltanto freddo.
Quel gelo di fondali
da cui l'umanità non parla
se non a sguardi
presaghi della morte.
Fu l'ultima volta
Ruth
che tornai ai cedri
e ai lombi da cui avrei generato
da te
noi in altri futuri.
E mi rammarico solo
del non essermi dato
e non averti presa
proprio mentre ti avevo.
Ma tu sai.
E perdonerai
se le ultime volontà mie
inattese
le ha dettate lo sferraglio di un treno piombato
su una tratta d'inverno polacco.
L'anonimo annuncio
di ciò che non saremmo più
mai
stati.

