venerdì 1 giugno 2012

La biblioteca di un’onda


Mary Heilmann, Crashing Wave, © 2011


La biblioteca di un’onda
ha le parole in torsione
accetta l’acqua fendente e di piatto
si trasforma nella sua corsa a deriva.
Senza spiegarsi, senza dipanarsi
senza molto ricercata prosa.

A volte diventano gocce
i versi
madri piccole di cristallo
lepri di mari, quiete di lago.
Dipende dal punto in cui li leggi
(se li guardi attento)
e dalla quiete sussurrata all’occhio.

Dipende da come si corrono i confini
se ti importa quel che vi trovi dentro
prima di valicarli
con tutto il buio cucito addosso.

La biblioteca di un’onda
è maremoto di Mar Morto
è le porte aperte d’una città di schiavi
l’effervescente palpito di vena
sui pori profumati di una donna.

Assomiglia ai combacianti corpi
e agli sguardi decimati dalla notte.

Quando vedrai uno che si stipa Amore
come fosse avena risparmiata
a un altro temporale
quando vedrai rimessaggi prematuri delle greggi
o un salice ricurvo
secco
o un calice riverso sull’altare
sorpreso dai voti incongrui
e fugaci
di un arido officiante.

Ebbene è là la notte.

La fine dell’onda senza riva.
La pancia dei gozzi senza mare.
Gli esatti matematici tramonti
delle belle menti rubate alla poesia.

E avanti scarsi libri di lettura.
Più o meno gli abbeccedari del presente.
L’ora per l’ora, come fosse vita
E come fosse vivere
l’attesa di niente e di nessuno.

Le parole farsi risacca
però
le sentirai tornare d’improvviso
prima o poi.
Da un giovane collo
da un sorriso
dai fianchi descritti da uno sguardo
da tutto quel futuro che ritorna
e che si rovescerà ai tuoi piedi
incisi sulla rena.

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