| Mary Heilmann, Crashing Wave, © 2011 |
La biblioteca di un’onda
ha le parole in torsione
accetta l’acqua fendente e di piatto
si trasforma nella sua corsa a deriva.
Senza spiegarsi, senza dipanarsi
senza molto ricercata prosa.
A volte diventano gocce
i versi
madri piccole di cristallo
lepri di mari, quiete di lago.
Dipende dal punto in cui li leggi
(se li guardi attento)
e dalla quiete sussurrata all’occhio.
Dipende da come si corrono i confini
se ti importa quel che vi trovi dentro
prima di valicarli
con tutto il buio cucito addosso.
La biblioteca di un’onda
è maremoto di Mar Morto
è le porte aperte d’una città di schiavi
l’effervescente palpito di vena
sui pori profumati di una donna.
Assomiglia ai combacianti corpi
e agli sguardi decimati dalla notte.
Quando vedrai uno che si stipa Amore
come fosse avena risparmiata
a un altro temporale
quando vedrai rimessaggi prematuri delle greggi
o un salice ricurvo
secco
o un calice riverso sull’altare
sorpreso dai voti incongrui
e fugaci
di un arido officiante.
Ebbene è là la notte.
La fine dell’onda senza riva.
La pancia dei gozzi senza mare.
Gli esatti matematici tramonti
delle belle menti rubate alla poesia.
E avanti scarsi libri di lettura.
Più o meno gli abbeccedari del presente.
L’ora per l’ora, come fosse vita
E come fosse vivere
l’attesa di niente e di nessuno.
Le parole farsi risacca
però
le sentirai tornare d’improvviso
prima o poi.
Da un giovane collo
da un sorriso
dai fianchi descritti da uno sguardo
da tutto quel futuro che ritorna
e che si rovescerà ai tuoi piedi
incisi sulla rena.
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