venerdì 22 giugno 2012

Le venteux chiffon d’Amiens

Roger McKasson, Window of Dreams © 2010

Sa di te il dormiveglia.
Quell’alito di sole nella neve
sulla piccola soglia di sorriso.
Lo sa il cuore
quando fermenta o quando tace
senza partorire.

I progressi del battito li vedi
dal passo accelerato dello sguardo
dalla trovata gemma di parola
nell’utero di un altissimo tratturo.

Vedi d’improvviso marinai
e solchi pacifici nell’erba.
Nuvole farsi roveti
e indistinti semi
che avranno nomi umani.
E poi lame di pioggia
insieme al sonno.

Mi vedrai.
Un piccolo ventoso cencio
bandiera di campanile illesa
supersite della sempre ultima guerra.
Farmi ninfea fra il terzo cantone e il quarto
impavesando chiatte placide
in perenne esilio dalla terra.

Di me diranno
i sottotitoli del mondo
e i canti piccardi
dell’adolescenza a ritroso
del tempo sempre sottratto a ciò che resta.

Ma qui s’inizia il mondo.
Dal semplice incalzarsi
di due che tagliano i cerchi all’acqua
cercandosi le dita.
Prima
poco prima che un fiume sbocchi
dal grembo immacolato del pianeta.

giovedì 7 giugno 2012

Il viandante di Sciaffusa


Ariane Njio, Großwald Dämmerung Moostraum. © 2011

L'amore ha tronchi
e radici arroccate in rapide
dove i passi
distillati e fatali
del semprefreddo Reno
riconoscono la via.

Rimasi tanto e tanto
nell'attesa d'acqua
per tergervi i fili d'erba
così che risuonassero
nel bacio del passaggio.

Ti ho avuta, mia saggia neve.
Nell'infuso sogno
di come si diventa
piani e onesti
aspettando
ogni giorno
la razione di quel giorno.

Rimane il cammino di due alberi.
Da Sciaffusa al lago pensile
fino agli occhi fatti mari
di quando mi guardi
e nella voce l'ora precisa
di saperci.

Il vento urta le rive
apostrofa i viandanti
muti sui cartigli silenti
senza rimedio
rimasti d'improvviso senza mondo.

Sono poeti che la bellezza disarciona
coloro a cui la parola manca
nell'esatto momento dell'azione
con versi rantolanti di dolore.

Non parlo di te
ma a te come foglia
di vene esili
che chiede vita
nel conto esatto dei suoi resti.

Perché nei cari margini del detto
nelle promesse
recluse in una conca di germanio
gemmò quel minimo
sempiterno
che ci demmo.

mercoledì 6 giugno 2012

Nel prato di cortecce di sequoia


C. S. Lewis, Aslan is Coming, ©  All Rights Reserved



Non siamo più visibili alle mappe
ma c'è ancora una Bibbia di viventi
e noi, forse
ancora entrambi scritti.
Stichi provvisori di preghiera.

Non eri la signora dei petali cremisi
che abbracciava rose a fasci
lasciandole immuni sui cigli?
Posso leggerti.
Nei venti rotanti da Candia ai veli di Damasco
nello snodo di voce sacra
scesa
incisa alle tue mura.

Si diventa rostri nella lontananza
arpionando l'aria
e inviando vane coordinate
agli occhi, alle mani, ai fianchi
come nell'amore di quando ci si plana addosso.

Ma io non ho più il suono di qualsiasi fiore.
E nel prato di cortecce di sequoia
certe donne sono pioggia.
Ti restano confitte
se hai pori aperti e buoni.

Se sai toccare i fili della luce
con la grazia iridata di acqua estiva
e senza inquinare
persino il palmo di terra che ti attende.

Chiedi di me nei mesi di neve


Grant Wood, January © 1941


Chiedi di me nei mesi di neve.
Col caldo di legna asceso ai solai.
E di me nel bianco
estinto nel bianco
che sembra alba
anche l’annottarsi repentino.

Chiedi di me
quando donne isidi feconderanno
con lo sguardo appena
il mondo in tutte le sue parti
e io darò a ogni donna il nome di un sentiero.
O anche di un dirupo.
Che i  segnali servono
a volte per smarrirsi
ma anche ad aspettarsi.

E chiedi di me
o del mio vecchio nome
chiedi delle alci timide e sbieche
chiedi degli allori in attesa dei poeti
e d’increspate felci e maremoti.
Chiedi dei porti
dei posti in cui mangiare e perdersi
in un vino fresco che ti scende
come un acquazzone annega una grondaia.

E chiediti perché si muove il mondo
con furie e rotazioni
senza che mai un verso sfondi l’atmosfera
per morire sul fondo della luna
o accecare i telescopi.

Io non so che verso darti
se non ti doni
se non invii i tuoi raggi verdi
e non riscrivi il foglio vergine.
Ché verginità è anche scrivere tacendo.
Finché Dio violerà il silenzio
con le sue reti partorienti pesci.

Chiedi di me nei mesi
in cui mi sarò annidato
a tessere l’elogio del confine.
Quello reciproco nostro
degli occhi mai incontrati.
Che non guardarsi è, in fin dei conti, una distanza.
Di sicurezza.
O sicumera.

venerdì 1 giugno 2012

La biblioteca di un’onda


Mary Heilmann, Crashing Wave, © 2011


La biblioteca di un’onda
ha le parole in torsione
accetta l’acqua fendente e di piatto
si trasforma nella sua corsa a deriva.
Senza spiegarsi, senza dipanarsi
senza molto ricercata prosa.

A volte diventano gocce
i versi
madri piccole di cristallo
lepri di mari, quiete di lago.
Dipende dal punto in cui li leggi
(se li guardi attento)
e dalla quiete sussurrata all’occhio.

Dipende da come si corrono i confini
se ti importa quel che vi trovi dentro
prima di valicarli
con tutto il buio cucito addosso.

La biblioteca di un’onda
è maremoto di Mar Morto
è le porte aperte d’una città di schiavi
l’effervescente palpito di vena
sui pori profumati di una donna.

Assomiglia ai combacianti corpi
e agli sguardi decimati dalla notte.

Quando vedrai uno che si stipa Amore
come fosse avena risparmiata
a un altro temporale
quando vedrai rimessaggi prematuri delle greggi
o un salice ricurvo
secco
o un calice riverso sull’altare
sorpreso dai voti incongrui
e fugaci
di un arido officiante.

Ebbene è là la notte.

La fine dell’onda senza riva.
La pancia dei gozzi senza mare.
Gli esatti matematici tramonti
delle belle menti rubate alla poesia.

E avanti scarsi libri di lettura.
Più o meno gli abbeccedari del presente.
L’ora per l’ora, come fosse vita
E come fosse vivere
l’attesa di niente e di nessuno.

Le parole farsi risacca
però
le sentirai tornare d’improvviso
prima o poi.
Da un giovane collo
da un sorriso
dai fianchi descritti da uno sguardo
da tutto quel futuro che ritorna
e che si rovescerà ai tuoi piedi
incisi sulla rena.